Mondo

Parla il patriarca di Bagdad. L’Iraq si fermi per una giornata di preghiera

Emmanuel III Delly: "È un invito che rivolgo a tutti i capi musulmani del mio Paese. E' un’assoluta priorità".

di Paolo Manzo

“La comunità internazionale deve convincere gli americani a cambiare la loro politica, a utilizzare il dialogo al posto della violenza, gli strumenti civili e non le armi”. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, appoggia le tre proposte per l?Iraq dell?associazione La Rondine, che Vita ha rilanciato sullo scorso numero. “Aiutateci a organizzare una giornata di preghiera fra cristiani e musulmani. Solo la preghiera può cambiare la mentalità degli iracheni e delle popolazioni dei Paesi vicini”. Sulla stessa linea Emmanuel III Delly, che è oramai abituato a sentirsi chiamare Beatitudine. Non ci fa neanche più caso. Del resto è quello il modo con cui ci si rivolge, tradizionalmente, al patriarca della Chiesa caldea, una delle più antiche comunità di arabi cristiani. Perché, a differenza di quanto pensano in troppi, l?equivalenza arabo uguale a musulmano, cristiano uguale a occidentale, da queste parti non regge proprio: in Iraq ci sono un milione circa di arabi cristiani, 700mila dei quali caldei, ed Emmanuel III Delly li rappresenta egregiamente. Con moderazione certo, ma anche con le idee molto chiare su quale possa essere l??idea giusta? per l?Iraq del futuro. Come quando, l?11 maggio, ha detto all?agenzia Misna che “le torture in Iraq sono un?offesa per i diritti umani e nessuno le può accettare: né gli iracheni, né gli statunitensi, né i britannici e tanto meno gli italiani”. Una frase importante, soprattutto perché pronunciata da un leader religioso che non ama fare dichiarazioni alla stampa. Dopo una serie interminabile di tentativi vani sul numero fisso del patriarcato di Bagdad, oramai praticamente fuori servizio, Vita è comunque riuscita a raggiungerlo telefonicamente su un cellulare che inizia con lo 001, il prefisso degli Stati Uniti d?America. Vita: Beatitudine, qual è la situazione in Iraq oggi per i cristiani? Emmanuel III Delly: Se comincia con questa domanda, comincia male. Passi alla domanda successiva. Vita: Scusi, perché si arrabbia tanto? Qual è il problema? Emmanuel III: Che lei mi chieda come va per i cristiani, è questo il problema. Non c?è nessuna differenza tra cristiani e musulmani, per quanto concerne l?attuale situazione in Iraq. Perché ciò che accade ai miei fratelli musulmani, ciò che li ferisce, ha lo stesso effetto anche sulla nostra comunità. Su tutto il popolo iracheno. Con questa ottica – e non con la sua domanda – noi viviamo da secoli in pace con i nostri fratelli musulmani. Facciamo tutti parte di una sola famiglia, la grande famiglia irachena. Anche se poi, come in tutte le famiglie, accade che ci sia il figlio buono e quello un po?? meno buono. Che però, alla fin fine, torna sempre all?ovile. Vita: Cambio domanda: come sta vivendo questi giorni la ?grande famiglia irachena?? Emmanuel III: Mancano la sicurezza, la tranquillità e la pace, ma abbiamo una grande fiducia nel Signore, che è il vero e unico re della pace. Il popolo iracheno non è affatto contento della situazione in cui è costretto a vivere, tra privazioni morali e materiali. E poi furti, rapine, violenze e assassini generati da spirito di vendetta. C?è però una straordinaria fiducia nel Signore che la situazione migliorerà, grazie alle preghiere che si elevano nel mondo e agli interventi così solleciti del nostro Santo Padre, Giovanni Paolo II. Vita: Che si sente di dire agli italiani e ai lettori di Vita? Emmanuel III: Sa, io mi sento mezzo italiano. Ho vissuto per 14 anni a Roma e l?Italia è la mia seconda patria? Agli italiani dico che l?unica via per la pace è l?amore tra di noi e aggiungo un invito: pregate e fate pregare. Vita: Cosa propone, affinché si possa arrivare a una soluzione pacifica della crisi? Emmanuel III: Spero che si faccia il più presto possibile una giornata nazionale in cui i cristiani, insieme a tutti i capi musulmani presenti in Italia, preghino per la pace in Iraq e in tutto il Medio Oriente e lancino un appello ai sequestratori e a tutti i capi religiosi iracheni per il rilascio immediato e senza condizioni degli ostaggi, di tutte le nazioni. Dobbiamo farlo assolutamente. È una priorità.


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